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La donna manager? Veste Anna Wintour

di Lucy Kellaway

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29 settembre 2009


Sabato scorso, il Financial Times ha pubblicato l'elenco delle 50 donne Ceo più importanti del mondo. Adoro questo genere di liste. Mi sono messa a studiarla durante la prima colazione, cercando di capire i segreti del loro successo. Per la numero uno, Indra Nooyi della Pepsi Cola, è lavorare sodo e divertirsi, per Irene Rosenfeld della Kraft seguire la passione. Le altre parlano dell'importanza di avere un mentore, di essere se stesse, dell'equilibrio tra lavoro e vita e così via. Tutte comunque ripropongo il mantra del «prenditi cura e condividi», oggi d'obbligo per qualunque Ceo, maschio o femmina che sia. L'unica nota stonata è Dong Mingzhu a capo di un'azienda cinese di condizionatori d'aria, nona nell'elenco. «Non sgarro mai», dice. «Non ammetto mai un errore e ho sempre ragione».
Sono scoppiata a ridere. Erano parole così scioccanti e fuori dal coro che ho pensato a una battuta. In termini di management, equivale a dichiarare una tendenza all'incesto o un gran rispetto per i pedofili. Eppure Sorella Dong, come viene chiamata, ce l'ha fatta. In tre anni, i profitti distribuiti agli azionisti dalla Gree Electric Appliances sono aumentati del 529,5 per cento. Si potrebbe obiettare che la scuola di pensiero manageriale «non sbaglio mai» può funzionare soltanto in Cina, un paese affezionato all'autocrazia dove la teoria del management è rimasta ferma ai guadagni invece di evolversi.
La settimana scorsa però ho visto The September Issue , un documentario suVogue America, e posso confermare che l'approccio di Sorella Dong funziona egregiamente nel settore più evoluto e competitivo che ci sia: la moda.
Sorella Dong ha un‘anima gemella a Manhattan, la direttrice Anna Wintour. Nel film, una sua dipendente commenta che lavorare per la rivista è «come appartenere a una chiesa». Nel senso che Wintour è la grande sacerdotessa? «No, risponde, è più come il Papa».
Per 90 minuti, vediamo una donna poco attraente e profondamente repressa che non sorride quasi mai, sale e scende da automobili con autista e dice ai sottoposti che il loro lavoro è brutto o noioso. Eppure per vent'anni quella donna è rimasta aggrappata al vertice del proprio campo, mentre la maggior parte dei Ceo maschi e femmine durano quattro o cinque anni prima di essere buttati fuori.
La Wintour non è così volgare da riflettere sul proprio successo nel ruolo del dittatore. Provo quindi a farlo io, e a spiegare come si comanda da tiranno in Occidente.
Prima mossa. Avere per spalla un genio che osa stringere le labbra in segno di disapprovazione quando state esagerando. Quello della Wintour è Grace Coddington, direttrice creativa dalla chioma color fiamma, durata vent'anni anche lei.
Seconda mossa. Prendere decisioni. La maggior parte dei Ceo consultano, tentennano, si guardano alle spalle, non vogliono sconvolgere nessuno e cambiano parere. Wintour si limita a decidere. E quando ha deciso, è così e basta.
Terza mossa. Fatevi rispettare. Il film fa capire che il rispetto conta enormemente e che non si conquista con smancerie. In termini di motivazione, un complimento pare molto meno efficace del desiderio di compiacere il Papa.
Quarta mossa. Abbiate ragione. Come Dong, Wintour ritiene di non sbagliare mai e la cosa straordinaria è che non le succede quasi mai. In parte è perché è molto intelligente, ha molta esperienza, lavora moltissimo, e le importa più di quanto sembri ragionevole. E perché ha avuto ragione così a lungo che ormai ce l'ha per definizione. Se Anna dice che la pelliccia tira, tira.
Con i condizionatori d'aria deve essere più complicato. Per sorella Dong e tutti gli altri Ceo di imprese globali, è molto più difficile sapere se hanno ragione davvero. Nel frattempo, possono scegliere se governare con la paura, che in Cina e nella moda funziona, oppure battere e ribattere sul tasto della passione o del mentore e sperare che se sbagliano non se ne accorga nessuno.

29 settembre 2009
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